
Sicuramente non è facile dare una definizione precisa di questo costrutto; diverse sono le angolazioni e le sfumature o varianti sotto cui può presentarsi love addiction, codipendenza, dipendenza relazionale ad esempio.
Non dobbiamo confonderla con il sesso compulsivo dove viene ricercato per una gratificazione affettiva, non rientra tra le dipendenze da sostanze, anche se nella forma estrema può presentare caratteristiche estremamente simili né coincide con il Disturbo dipendente di personalità come definito dal DSM IV.
La dipendenza affettiva è prima di tutto una distorsione relazionale che implica una distorsione della rappresentazione di sé e dell’altro e uno squilibrio della risposta affettiva.
Chi mostra i sintomi di una dipendenza affettiva ha un desiderio di fondersi con l’altro che viene mantenuto inalterato nel tempo.
Chi soffre dei sintomi della dipendenza affettiva ha un forte bisogno di legami nei confronti della persona da cui dipende totalmente e sulla quale investe ogni energia disponibile.
Ogni attimo della vita viene speso nell’ansia della perdita e necessita di continue rassicurazioni.
Può capitare che il dipendente abbia difficoltà ad identificare i propri bisogni affettivi reali e i propri obiettivi in mancanza di una vera figura di supporto o di una situazione che lo aiuti in questo.
Nella relazione di coppia sottopone il compagno o la compagna a richieste affettive esagerate e manifesta un disagio legato alla mancanza di amore.
Negli esseri umani, a differenza dalle altre specie del regno animale il periodo di accudimento tende ad essere più lungo e come afferma Bolk (1926) potremmo definire l’uomo un animale “neotenico” che deve completare la propria maturazione dopo essere venuto alla luce e durante un lungo periodo di dipendenza dalla madre.
Questa modalità potrebbe essere all’origine di molti disturbi della sfera affettiva e relazionale riscontrabili nel soggetto adulto.
Gli esseri umani, hanno, quindi, bisogno di darsi aiuto e sostegno reciproco e come animale sociale, l’uomo non può fare a meno dell’altro quindi una qualche tipologia di dipendenza è sempre implicita nella relazione.
Nella relazione di coppia e soprattutto nell’intimità l’adulto riporterà gli schemi di attaccamento riportati con le figure genitoriali e cercherà di farsi accudire con la stessa fiducia o timore con cui sono stati accuditi da bambini.
Seguendo la Teoria di Bowlby potremmo affermare che l’eziopatogensesi della dipendenza origina nella tipologia di attaccamento insicuro – ambivalente.
Il bambino non ha potuto sentire i genitori come base sicura.
A differenza dell’attaccamento insicuro – evitante in cui il bambino ha sperimentato il rifiuto e ha dovuto imparare a fare tutto da solo senza aspettarsi nessun tipo di sostegno, nell’attaccamento insicuro – ambivalente il bambino ha percepito la figura materna senza potersi attaccare realmente e completamente.
L’oggetto di amore era incostante e quindi l’allontanamento veniva vissuto con angoscia perché il suo ritorno non era vissuto come sicuro.
Il bambino è restato, quindi, in una situazione di attesa, come arenato.
Ha imparato a congelare la propria angoscia e solitudine.
Il futuro dipendente affettivo ha atteso che i suoi genitori si occupassero di lui e tutto quello che ha fatto lo ha fatto per svegliarli in modo che si prendessero cura di lui.
Questi modelli di comportamento saranno causa di alcuni tratti di personalità che vedremo nel dipendente: bassa autostima, indecisione, basso livello di fiducia negli altri, difficoltà nel lasciarsi andare, ansia da controllo, terrore della separazione e dell’abbandono.
Secondo Lingiardi: “Ogni riflessione clinica sulla dipendenza va calata nella dimensione relazionale: da una ricerca disperata dell’altro, visto come regolatore unico del Sé, a una figura atterrita dell’altro, visto come una minaccia alla propria integrità.” (Lingiardi 2005, pag. 71).
Quando le dimensioni di dipendenza ed indipendenza si scollegano e smettono di compensarsi tra di loro estremizzandosi possiamo incominciare a scorgere i tratti di una psicopatologia.
Quindi è per questo potremmo giungere a definire la dipendenza affettiva come un non riesce ad uno squilibrio relazionale che nasce quando un individuo non riesce ad integrare prima dentro sé stesso le dimensioni di dipendenza – indipendenza collocandosi ad uno degli estremi spezzando il filo che li collega e irrigidendosi ad uno degli estremi: aggrapparsi all’altro o fuggirne.
Per prima cosa per la persona dipendente è molto difficile concepire la possibilità di ricevere amore perché non è abituata.
La bassa autostima e il senso di inadeguatezza la fanno sentire come se non meritasse nulla.
Questo la porta a guardare tutto quello che arriva con diffidenza e sospetto e nei confronti di un partner pieno di amore nei suoi confronti: il rischio di una delusione sarebbe insopportabile andando a smuovere ricordi di sofferenze e traumi legati all’infanzia non ancora superati.
Nonostante ciò avendo dei bisogni come ogni essere umano si sentirà in debito e continuerà a chiederlo passando da una forma lamentosa ad una aggressiva e dimostrando una voracità non controllabile: ogni offerta di amore di un compagno spontaneo e interessato saranno cioè considerate banali e inadeguate.
La conseguenza di ciò sarà che un partner normale viene allontanato lasciando spazio ad un’eventuale relazione problematica.
L’ipotetico partner che con più facilità si avvicinerà sarà un narcisista, uno psicopatico oppure un sadico.
Queste personalità presentano dei tratti molto seduttivi e all’inizio della relazione mostrano i migliori lati del loro falso Sé grandioso, promettendo moltissimo.
Il dipendente ne viene attratto perché sedotto dalla sensazione di sicurezza che a lui manca.
Ovviamente la fiamma è breve e lascia inesorabilmente il posto alla reale natura del narcisista:
Di fronte alle richieste del dipendente si allontanano perché non sono empatici, non sanno provare emozioni, ma forse solo sensazioni.
Il dipendente a questo punto si trova relegato deluso e amareggiato nella tanto temuta solitudine e abbandono.
Disperato e assetato d’amore ripartirà alla ricerca di qualcuno che plachi la sua fame.
E saranno sempre persone sbagliate fino a quando non si fermerà a valutare un percorso di guarigione e di rinascita.
Possiamo valutare questo disturbo prendendo in considerazioni cinque caratteristiche della relazione: il legame, il sentimento prevalente, l’illusione, la distorsione cognitiva e l’atteggiamento.
Ciò che caratterizza il legame è la dipendenza cioè la convinzione di non avere alternative possibili.
È un legame disfunzionale e patologico in cui non vediamo un vero esame di realtà, ma solo la convinzione di non poter fare fronte alla solitudine o alle proprie scelte personali effettuate in autonomia.
Il sentimento che prevale in questa relazione è la paura di essere abbandonati.
Rivediamo in questa dinamica le paure primitive legate a traumi non superati che riemergono catapultando il soggetto in stato di ansia e prostrazione che obnubilano la capacità di prendersi cura di sé stesso e di evitare dolore.
L’illusione è la sensazione a cui si abbandona ogni qualvolta incomincia una nuova relazione in cui intravvede i falsi contorni di un amore finalmente giusto e pronto a salvarla dall’angoscia di essere perennemente abbandonato e non compreso.
In questa fase si lasciano completamente sopraffare inermi ed indifesi.
La distorsione cognitiva, invece, è presente quando il dipendente svaluta se stesso a vantaggio del partner disturbato che viene invece idealizzato.
Il dipendente si sente immeritevole di amore, attenzione considerazione a causa dell’imprinting affettivo causato da una mancanza di risposta dalle figure genitoriali primarie, dalla mancanza di una madre che Winnicott definirebbe “non sufficientemente buona”.
Il partner invece viene considerato indipendente e assolutamente capace di superare un’eventuale separazione.
Dobbiamo considerare queste relazioni come vere e proprie prigioni psicologiche.
Il dipendente viene privato dei diritti di essere amato e rispettato.
Viene ricattato e colpevolizzato.
E quando scatta un sentimento di rabbia dentro rivediamo il bambino abituato all’insensibilità degli altri nei propri confronti.
Per essere amato o semplicemente visto il dipendente si è rassegnato a non sentire i bisogni e le necessità che bussavano al suo cuore.
Come un piccolo soldatino ubbidiente si è messo a disposizione degli altri sperando che il proprio sacrificio servisse perché è qualcuno si svegliasse dal torpore e finalmente si accorgesse e lo amasse e lo facesse sentire degno di attenzione e lo facesse finalmente sentire presente.
Nei dipendenti affettivi a causa di questo lacerante buco nero che invade l’anima e la mente vive una profonda rabbia che è il rovescio della medaglia dell’essere sempre disponibile e accondiscendente.
Egli ha veramente il timore che questa rabbia, questa avidità possa allontanare chi ama.
Per questo la sua diventa una richiesta spesso timida e lamentosa espressione quindi di una personalità passivo-aggressiva che ritorna ad essere remissione per paura del temuto abbandono.
Insieme all’ossessione per l’oggetto del suo amore il dipendente vive anche un forte disprezzo nei suoi confronti.
Questa forma di disprezzo ha origini lontane e ogni volta che viene scelto un partner con queste caratteristiche il dipendente dà vita ad una dinamica a lui nota.
Il dolore e la rabbia escono come fiumi di veleno che sono criticati senza nessun risparmio continuando però a vivere insieme a loro come se nulla fosse, addirittura indifferenti agli stati d’animo così violenti che questi sentimenti generano.
Il codipendente crea un legame con un partner che pensa debba essere aiutato.
Uno cioè ha un bisogno e l’altro se ne fa carico.
osa potrebbe fare il codipendente per uscire da questa prigione emotiva ed affettiva?
Accettare il passato e smettere di tentare di ricostruirlo.
Deve entrare in contatto con il proprio dolore, smettere di occuparsi del dolore degli altri e prendersi cura di sé stesso affidando al proprio sé adulto il bambino interiore che deve essere accudito e non mettendolo nelle mani di persone sbagliate.